domenica 27 luglio 2025

GEOLOGIA - IL MERCURIO DEL MONTE AMIATA (SIENA)

SIENA - Esistono paesi che vivono la loro storia con tragica intensità, la percorrono come un racconto ben scritto dove ad ogni tappa fondamentale si condensano emozioni intense, lacrime amare e affetti profondi. Abbadia San Salvatore, in provincia di Siena, è uno di questi paesi. Negli occhi dei suoi uomini si ritrovano la tenacia e la passione di chi ha vissuto un destino spesso imposto dagli eventi, ma invece di rimpianto e lamentazione hanno saputo riconoscervi senso del dovere e di appartenenza. Il paese riposa all’ombra del Monte Amiata, una terra selvaggia e generosa. La “montagna madre” provvede alla sua famiglia con acqua, carbone, legname e castagne. Ma il destino della regione cambia radicalmente quando nell’ottocento viene scoperto un enorme giacimento di cinabro, la materia prima da cui ricavare il mercurio. L'”argento vivo” è di fondamentale importanza per la produzione di strumenti di precisione e per l’industria bellica, e così cominciano ad aprire le miniere. Prima quelle del Siele nel 1866, poi le miniere di Solfarate nel 1873, Cornacchino nel 1879 e Abbadia San Salvatore a inizio secolo. Il mercurio amiatino arriva a costituire il 50 percento della produzione mondiale, e solo nella miniera di Abbadia verranno a impiegati fino a 2000 uomini. All’inizio i minatori sono costretti a lavorare senza alcuna protezione e senza assistenza sanitaria. La paga non è fissa, ma dipende dalla quantità di minerali estratti, perciò si lavora in qualunque condizione, anche le più pericolose. Le frane, gli esplosivi difettosi, i pesanti carrelli con cui trasportare minerali e persone. In miniera ogni angolo nasconde una minaccia, ogni momento è fatica e sacrificio. Il novecento apre le porte alle contestazioni sociali, alla sinistra operaia, alle proteste per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. In tanti vengono incarcerati o mandati al confino con l’accusa di comunismo. Viene fondata la Società di Mutuo Soccorso per riportare la pace sociale in periodi di lotte operaie e per controbilanciare la riduzione dei salari nei periodi di crisi economica. A partire dal 1910 si costruiscono opere di interesse collettivo come fognature, teatri e scuole. Arrivano le colonie estive per i figli dei minatori, le attività sportive e culturali, la banda e la compagnia teatrale. La “grande mamma” ora è la miniera, e il paese che allatta cresce fino a comprendere oltre 8500 abitanti negli anni sessanta. Ma le strutture create vanno ben aldilà delle modeste dimensioni della comunità badenga. Le piscine, i teatri, i musei, sono “struttre tipiche di una cittadina ben più importante, che ora facciamo fatica a mantere” ammette il vicesindaco e assessore alla cultura Patrizia Mantengoli. Infatti la storia raggiunge un altro punto di svolta nel 1976, quando chiude per sempre l’ultima miniera amiatina. L’industria chimica ha creato materiali sintetici molto più economici del mercurio, e ora il cinabro è diventato obsoleto. Il paese regredisce, la popolazione è in calo, c’è bisogno di nuove risorse e nuove attività economiche. Eppure non bisogna dimenticare gli uomini e le donne che con il loro sacrificio hanno permesso anni di prosperità e sviluppo. Con tale scopo viene fondato il Parco Museo Minerario, dove sono racchiusi la storia, i cimeli e le testimonianze di questo straordinario percorso. La Galleria Livello VII, una sezione restaurata della miniera, è un percorso guidato che illustra da vicino la vita in miniera e le fasi del’estrazione. A guidare i visitatori sono alcuni ex minatori, come Paolo Contorni, classe 1932, minatore, figlio e nipote di minatori. I modi gentili e pacati, la voce che talvolta tradisce un’emozione sincera, il signor Paolo racconta con parole che lui stesso definisce “semplici e modeste” cosa voglia dire essere un minatore. Quel senso di appartenenza a una comunità che senza lamentarsi, senza accusare le ingiustizie del destino, giorno dopo giorno entrava nel sottosuolo fino a veder scomparire ogni traccia di luce dietro di sé. Il rapporto indissolubile tra il minatore esperto e il suo giovane aiutante, pronti entrambi a sacrificare la vita per il compagno, consapevoli della sua fondamentale presenza senza mai riuscire a vederlo. La paura e l’angoscia ad ogni allarme. Il buio. Ecco cosa significa per il signor Paolo essere badengo, appartenere a una comunità di minatori. Una comunità legata alla sua montagna, ai castagni che vi crescono in superficie e ai minerali celati nel sottosuolo. * Flavio Alagia

 

MERCURIO - Il mercurio veniva usato dai dentisti per fare delle otturazioni dentali.Dopo avere scavato un dente, questo veniva riempito di una lega di mercurio. L’amalgama dentale che viene utilizzata dai dentisti per riempire le cavità dei denti dei loro pazienti è tradizionalmente composta da una miscela di mercurio e una lega metallica, che contiene argento, stagno e rame. Nel giorno della Conferenza di Ginevra sulla Convenzione di Minamata, parliamo di mercurio: un metallo pesante dannoso per ambiente e salute. Ecco dove si trova ancora nelle nostre vite quotidiane e quali sono le alternative. Sono passati più di due anni dall’entrata in vigore della Convenzione internazionale di Minamata, un trattato globale per proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti negativi del mercurio, ma la produzione di svariati prodotti contenenti questo metallo pesante continua in tutto il mondo. Da oggi, fino al 29 novembre, si tiene a Ginevra (Svizzera) la terza conferenza di aggiornamento della Convenzione: la buona notizia è che è stata sviluppata un’ampia gamma di alternative, sicure e altamente funzionali, ai prodotti contenenti mercurio. * Francesco Rasero

MERCURIO - Indossi gioielli d’oro? Se è così, è possibile che chiunque abbia estratto il metallo che è finito in un anello, negli orecchini o in una collana, abbia usato il mercurio per separare l’oro dagli altri materiali con cui esso viene estratto. Infatti, l’estrazione artigianale dell’oro rappresenta la più grande richiesta di questo metallo pesante a livello mondiale ed è anche il più importante fattore che contribuisce alle emissioni combinate di mercurio. Nel 2018, stando ai dati delle Nazioni Unite, l’estrazione su piccola scala ha emesso circa 800 tonnellate di mercurio nell’aria, circa il 38% del totale globale, e ha anche rilasciato circa 1.200 tonnellate nella terra e nell’acqua. L’avvelenamento causato da tale metallo pesante rappresenta anche una seria e diretta minaccia per la salute dei circa 15 milioni di persone che lavorano nel settore in tutto il mondo. * Francesco Rasero

MERCURIO - Le batterie a bottone, usate in molti apparecchi elettronici di piccole dimensioni (dagli utensili da cucina agli orologi, fino alle scarpe per bambini che si illuminano quando camminano), di solito contengono mercurio. La quantità è tale da non rappresentare una minaccia per l’ambiente o la salute umana se le batterie vengono riciclate in modo appropriato, ma qualora finiscano in un inceneritore o in una discarica inadeguata, allora il contenuto al loro interno può fuoriuscire e contaminare l’aria o le acque sotterranee.

MERCURIO - Nella combustione del carbone. La combustione del carbone, innanzitutto per produrre energia elettrica, oltre a essere tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico e del cambiamento climatico, è responsabile di circa il 24% delle emissioni globali di mercurio. Tale dato è triplicato dal 1970, con la sempre maggiore richiesta di energia. 

 

 FOTO : Sotto foto di roccia cinabro e minerale di mercurio, polvere di mercurio detto il vermiglione, il vulcano Monte Amiata, batterie elettriche contengono mercurio 

 

Cinabro - Wikipedia

 

Cinabro - Pigmenti.net

 

 

 Mercurio nella vita quotidiana: dove si trova, quali alternative -  eHabitat.it

 

 

giovedì 24 luglio 2025

Geologi biologi naturalisti famosi


LINNEO - Linneo fu uno scienziato svedese che ha classificato piante e animali. Introduce il sistema binominale, ogni specie animale e vegetale viene chiamata e udentificata da 2 nomi cioè genere e specie. Nel caso di stessa specie si può generare e fecondare una nuova generazione di individui.
HUTTON - James Hutton (1726-1797) è stato un filosofo naturalista scozzese, ma il suo contributo alla geologia è stato ancora più importante: è considerato da alcuni il “padre della geologia moderna.” Hutton era anche un avido seguace del plutonismo e l'autore di Theory of the Earth, un libro che enfatizzava diversi fondamenti della geologia, tra cui il fatto che la Terra aveva più di 6,000 anni, che il calore sotterraneo che crea materiale metamorfico è un processo tanto importante quanto la formazione della roccia da sedimenti depositati sott'acqua, e che gli stessi identici agenti che operano oggi hanno creato il morfologie del passato, un principio noto anche come uniformitarismo.






CUVIER - Georges Cuvier
( 1769 - 1832 )
Naturalista e biologo francese, concentrò i suoi studi principalmente sulla zoologia e sull’anatomia comparata. Con Georges Cuvier, allievo di Buffon, il sistema classificatorio impostato da Linneo per gli animali venne maggiormente articolato, con riferimento soprattutto all’anatomia interna. Cuvier diede vita alla Zoologia comparata e all’Anatomia comparata. Studiando i fossili (mammalofauna del bacino di Parigi), Cuvier scoprì che a strati geologici diversi corrispondono faune differenti, tanto più diversificate dalle attuali quanto più gli strati sono profondi e lontani nel tempo. La discontinuità delle faune è dovuta per Cuvier a successive e improvvise catastrofi. Egli restò dunque essenzialista e fissista: per lui i caratteri «essenziali» della specie «resistono ad ogni influenza, sia naturale che umana».* Guido Badino











Adam Sedgwick (1785-1873) ha studiato rocce e fossili del palezoico inglese. Introduce concetti importanti in stratigrafia come : Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano.
Charles Lyell (1795-1883) fu naturalista e geologo, scrive il primo libro moderno di geologia che divide in : litologia, stratigrafia, tettonica. Secondo questo schema classico si spiegano i fenomeni geologici del presente come eruzione e terremoti, e del passato come la formazione delle montagne, dei continenti e degli oceani, dei fossili basati sulle prime teorie. Introduce concetti importanti come : plutone, plutonite, Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico, Eocene, Miocene, Pliocene, Pleistocene.


Darwin Charles (1809-1882) fu un naturalista e geologo inglese. Famoso per avere scritto libri sull'evoluzione dell'uomo e degli animali. Nei suoi libri si parla di animali e uomo che sviluppano caratteristiche che dipendono dall'ambiente. Queste caratteristiche esterne e interne sono trasmesse alla generazione futura. Diventa famoso quando afferma una tesi opposta a quella della bibbia, che l'uomo discende dalla scimmia. Scrive il libro : l'evoluzione della specie. Nei suoi libri descrive i paesi dove ha vissuto e che ha visitato cioè : inghilterra, Canarie, Brasile, Argentina, Cile, Perù, Polinesia, Australia Tasmania, Sudafrica, 





Mercalli Giuseppe nato a Milano fu professore a Monza, Reggio Calabria e poi Napoli. Come naturalista studia in particolare i terremoti e la geologia italiana. Introduce fra i primi al mondo una scala sismica per misurare la forza e l'energia di un terremoto basata su dieci gradi. La misura non è strumentale ma considera i danni e gli effetti. In cento anni di storia, grazie ai giornali, ai libri e a radio e televisione la scala Mercalli diventa famosa. Ormai da tanti anni non più usata ma sostituita da una scala sismica piu precisa vasata sulla magnitudo. Mercalli fu il testimone e lo studioso di importanti terremoti come quello dello stretto di Messina del 1908 e di Casamicciola nel 1883, e di eruzioni rilevanti come quelle del Vesuvio del 1906 e di Vulcano del 1888-1890. * ingenio 2025

WEGNER -  William Hamilton (1730-1803) studia come si è formata la crosta terrestre e altri fenomeni delle scienze naturali. Infine, nel 1912  la teoria della deriva dei continenti di Alfred Wegener, spiega i meccanismi, che non solamente provocano le eruzioni, ma anche i terremoti, fenomeni naturali complessi che cominciano ad essere compresi. Compito della vulcalogia è comprendere l'origine e il funzionamento dei vulcani e dei fenomeni connessi al fine di stabilire una diagnosi (per un periodo determinato) sui rischi e i pericoli in cui incorrono le popolazioni e le attività umane. Gli studi e le ricerche si svolgono in un primo tempo sul campo con lo scopo di procedere a raccolte d'informazioni sulle forme di osservazioni, misure e campionatura e in un secondo tempo in laboratorio per analizzare gas e rocce, in seguito interpretare i dati e i campioni. I vulcanologi, aiutati dai progresi nel campo della metrologia, procedono a un censimento dei vulcani e all'elaborazione di una classificazione secondo il tipo eruttivo: hawaïano, stromboliano, vulcaniano, peléeniano, pliniano e surtseyano. I vulcanologi mostreranno anche il nesso tra geyser, fumarole, solfatare, ecc. e vulcani spiegando i loro funzionamenti. Differenti formazioni geologiche saranno ugualmente spiegate dal vulcanismo e il luogo e gli eventi saranno lo scopo di numerose ricerche: dighe, camini vulcanici, colate di lava, ignimbrite, pozzolane, guyot, atolli, ecc.

Diversi strumenti di misura sono stati elaborati o presi in prestito da altre discipline allo scopo d'ottenere dati affidabili sul funzionamento dei vulcani e particolarmente la previsione delle loro eruzioni. L'evento scatenante un'eruzione vulcanica è l'arrivo del magma nella camera magmatica che provoca pressione. Avviene un rigonfiamento del vulcano dovuto alla dilatazione delle rocce e alla potenza del magma sulle pareti. Questo gonfiamento del vulcano va a generare dei microsismi, un aumento dell'inclinazione dei suoi pendii, un aumento del diametro del cratere o della caldera in sommità. L'arrivo del magma nella camera magmatica provoca una fuoriuscita di gas dal serbatoio sì da potere essere registrato come un'anomalia termica con l'aiuto di un termometro all'infrarosso o di un pirometro.

I sismografi permettono ai vulcanologi di rilevare i microsismi provocati dalla messa in pressione della camera magmatica. I sismografi possono anche rilevare il tremore: proprio prima di un'eruzione vulcanica, la risalita del magna lungo il camino vulcanico genera una vibrazione continua e leggera del vulcano. Questo tremore costituisce così un segnale affidabile permettendo di annunciare l'imminenza di un'eruzione.

L'inclinometro, accelerometro e tiltmetro misurano le variazioni di pendenza del vulcano fino a una precisione di uno per milione. Essi sono posti in differenti luoghi sui pendii del vulcano quando è in fase di riposo. La messa sotto pressione della camera magmatica provoca un gonfiamento del vulcano che vede l'inclinazione dei sui pendii accentuarsi. In seguito all'eruzione vulcanica, la pressione nella camera magmatica s'abbassa facendo diminuire l'inclinazione dei pendii del vulcano. Così il vulcanologo può prevedere l'inizio e la fine prossima di un'eruzione quando gli inclinometri indicano una variazione della pendenza del vulcano.

L'altimetro gioca un ruolo di complemento all'inclinometro. Posto ugualmente sui pendii del vulcano, indicherà gli aumenti e le diminuzioni di altitudine secondo i gonfiamenti e gli sgonfiamenti del vulcano.

L'interferometro permette di misurare la distanza fra due punti grazie a un laser. L'apparecchio di misura e il riflettore essendo posti da una parte all'altra di un cratere o di una caldera, permettono d'indicare un aumento o una diminuzione della taglia del cratere o della caldera, segno che il vulcano si gonfia o sgonfia secondo la pressione che vi è nella camera magmatica.

La campionatura permette di determinare il tipo e il 

Le misurazioni effettuate con l'ausilio degli strumenti sono decifrati, comparati con il passato del vulcano e fra i vulcani, ecc. mentre i campioni subiscono una serie di misurazioni e analisi chimiche, cristallografiche, fisiche, geochimiche,...

La sintesi dei risultati e il loro confronto permette così di realizzare diagrammi, cartografie, ecc. permettendo di stabilire una cronistoria del vulcano e di valutare il rischio eruttivo per un periodo più o meno lungo.

Durante la previsione di un'eruzione, i vulcanologi si servono di differenti misure effettuate. Se uno o più fattori del vulcano variano (composizione del gas, pendio del vulcano, sismicità, ecc.), è forse il segno che un'eruzione è imminente.

Petrografia e mineralogia
Due grandi tipi di rocce vulcaniche costituiscono il 95% delle lave e del tefra emmessi dai vulcani: basalti e andesiti.

Queste due rocce sono in maggioranza formate da cristalli di silice, feldspati e pirosseni misti a un vetro vulcanico che non ha avuto il tempo di cristallizzare completamente a causa della risalita e del raffreddamento brusco del magma. L'ossidiana per esempio non è formata che di vetro vulcanico. Il basalto, generato dal magmatismo di punto caldo e di dorsale, risulta dalla fusione parziale del mantello per decompressione ai livelli delle dorsali. L'origine del magma proveniente dai punti caldi è ancora soggetto a dibattito. È una lava fluida giacché è relativamente povera in gas e in silice (intorno al 45%). L'andesite, generata dal magmatismo di subduzione, risulta dalla fusione parziale del mantello per idratazione ai livelli delle fosse di subduzione. Le andesiti sono più pastose poiché sono più ricche in gas e in silice (intorno al 55%). La viscosità di un magma dipende dal tenore in silice giacché è questo minerale che determina il numero di legami possibili con l'ossigeno: più un magma contiene silice, più esso è viscoso e più l'eruzione vulcanica avrà tendenza esplosiva [1].

La carbonatite è una lava molto rara composta in maggior parte di carbonato di calcio (calcite), carbonato di magnesio (dolomite), carbonato di ferro e magnesio (siderite-magnesite) o carbonato di sodio. Molto fluida, possiede molta poca silice (meno dell'1%), temperatura poco elevata (500-550 °C); è nera quando viene emessa, ma sbianca a contatto dell'aria una volta raffreddata (qualche ora), giacché i suoi minerali reagiscono all'umidità ambientale. Solo l'Ol Doinyo Lengaï emette carbonatiti attualmente.[2].

Vulcani del Decennio
Gli anni '90 sono stati dichiarati « Decennio internazionale per la riduzione delle catastrofi naturali » dall'Organizzazione delle Nazioni unite. L'IAVCEI (per International Association of Volcanology and Chemistry of the Earth's Interior letteralmente Associazione internazionale della vulcanologia e della chimica all'interno della Terra) ha allora deciso di stilare una lista di vulcani attivi o recentemente attivi e suscettibili, secondo il loro passato eruttivo e la loro prossimità alle zone popolate, di produrre grandi catastrofi vulcaniche. Lo scopo di questa lista composta di sedici vulcani (« Decade volcanoes » in inglese) è di promuvere il loro studio e la sensibilizzazione delle popolazioni a loro soggetti al fine di prevenire ogni rischio umano.

I sedici vulcani sono:

la coppia Avachinsky-Koryaksky in Russia
Colima in Messico
Etna in Italia
Galeras in Colombia
Mauna Loa negli Stati Uniti
Merapi in Indonesia
Nyiragongo nel Congo
Mont Rainier negli Stati Uniti
Sakurajima in Giappone
Santa María / Santiaguito in Guatemala
Santorini in Grecia
Taal nelle Filippine
Teide in Spagna
Ulawan in Papuasia-Nuova Guinea
Monte Unzen in Giappone
Vesuvio in Italia
L'attenzione accresciuta data a questi vulcani ha particolarmente permesso qualche successo:

deviazione di una colata di lava sull'Etna nel 1992 evitando così la distruzione di abitazioni;
migliore comprensione della storia del Galeras;
migliore comprensione dell'implicazione dell'acqua nelle eruzioni del Taal;
adattamento della legislazione nel caso di nuove costruzioni ai bordi del Monte Rainier;
riduzione della densità delle abitazioni nella caldera del Taal;
elaborazione di un piano di evacuazione dell'agglomerato urbano di Napoli.
Ma gli scienziati e le autorità hanno anche incontrato importanti problemi:

il fallimento della gestione dell'eruzione del Monte Unzen con la morte di 43 persone di cui tre vulcanologi nel 1991;
la morte di sei vulcanologi e di tre turisti nel cratere del Galeras nel corso di una eruzione non prevista nel 1993. I vulcanologi, che non avevano previsto l'escursione sul vulcano, stavano partecipando a un dibattito di vulcanologia nella città di Pasto;
l'impossibilità d'avvicinare il Santa Maria / Santiaguito a causa della guerra civile (1960-1996) in Guatemala fino al 1996, data della firma del cessate il fuoco;
lo scatenamento del genocidio del Rwanda e Zaire e la destabilizzazione del regime di Mobutu Sese Seko con la prima e la seconda guerra del Congo, impedendo d'avvicinare il Nyiragongo a partire dal 1996;
i crediti limitati accordati a questi studi.
Vulcanologi celebri
Deodat de Dolomieu
Déodat de Dolomieu
Plinio il Vecchio, 23-79 romano
Plinio il Giovane, 61-114 romano
le conte di Buffon, 1707-1788 francese
James Hutton, 1726-1797 britannico
William Hamilton, 1730-1803 britannico
Barthélemy de Saint-Fond, 1741-1819 francese
Déodat de Dolomieu, 1750-1801 francese
Jean-Baptiste Bory de Saint-Vincent, 1778-1846 francese
George Poulett Scrope, 1797-1876 britannico
Robert Mallet, 1810-1881 britannico
Ferdinand Fouqué, 1828-1904 francese
Charles Vélain, 1845-1925 francese
Giuseppe Mercalli, 1850-1914 italiano
Alfred Lacroix, 1863-1948 francese
Haroun Tazieff, 1914-1998 francese
Don Peterson, 1925-2003 americano
George Walker, 1926-2005 britannico
Robert W.Decker, 1927-2005 americano
Keiiti Aki, 1930-2005 giapponese
Jean-Louis Cheminée, 1937-2003 francese
Claude Allègre, 1937- francese
Katia Krafft, 1942-1991 francese
Peter Williams Francis, 1944-1999 britannico
Maurice Krafft, 1946-1991 francese
Henry Gaudru, 1948- francese
David Johnston, 1949-1980 americano
Jacques-Marie Bardintzeff, 1953- francese




Guttemberg Beno

Richter 

Benioff




Geologia - L'oro romano e la miniera spagnola di Las Medulas


Nel primo secolo d.C., il potere imperiale romano inizió a sfruttare il giacimento aurifero di questo posto situato nel nordest della penisola iberica sfruttando una tecnica basata nella forza idraulica. Due secoli dopo, i romani abbandonarono il posto e il paesaggio rimase completamente devastato. Data l’assenza di attivitá industriali successive, le spettacolari impronte dell’uso dell’antica tecnologia romana sono facilmente visibili sia nelle pendenze collinose sia nelle zone di scarico di residui oggi coltivate.



Descrizione di Las Médulas in "Storia Naturale" di Plinio il Vecchio - "Quello che accade a Las Medulas è molto più del lavoro di giganti. Le montagne sono perforate da corridoi e gallerie create a lume di lampada. Per mesi le miniere non sono illuminate dalla luce del sole e molti minatori muoiono all'interno dei cunicoli. Questo tipo di miniera è stato definito Ruina Montium. Le spaccature creatasi all'interno della miniera sono talmente pericolose che è più semplice trovare la purpurina o le perle in fondo al mare che scheggiare questa roccia. Con che pericolo abbiamo costruito la terra!" Plinio affermò anche che 20.000 libre d'oro venivano estratte ogni anno 60.000 lavoratori liberi vennero impiegati in scavi che produssero 5 milioni di libre nel corso di 250 anni (corrispondenti a 1.635.000 kg d'oro).



las Medulas, un’antichissima mina romana patrimonio UNESCO dal 1997.

Quello che possiamo ammirare oggi sono i resti di quest’antica mina, delle imponenti montagne rosse scavate nel tempo grazie alla pazienza e all’astuzia dei nostri antenati. E risulta veramente incredibile pensare che con i pochi strumenti disponibili all’epoca dei romani, si siano ingegnati al punto di creare delle gallerie e poter estrarre l’oro, sfruttando gli elementi naturali a loro disposizione.

Le miniere d'oro in Spagna! La Spagna ha una lunga storia di estrazione dell'oro, con diverse miniere sparse per il paese. Una delle più famose è la miniera d'oro di Las Médulas, situata nella regione di León, nella Spagna nord-occidentale. Questa miniera è stata sfruttata fin dall'epoca romana e rappresenta uno degli esempi più importanti di ingegneria mineraria dell'antichità.

Las Médulas è un sito UNESCO e attira visitatori da tutto il mondo per la sua storia e la sua bellezza naturale. * Meta AI



Letteratura :
Malaguti Cinzia 2025
Wikipedia 2025
Spain.info 2025

mercoledì 23 luglio 2025

Geologia 16 - Terremoto Friuli 1976


Il 6 maggio 1976 un terremoto di magnitudo 6.4 colpisce duramente il Friuli e in particolare la media valle del Fiume Tagliamento, coinvolgendo oltre cento paesi nelle Province di Udine e Pordenone. Il terremoto, avvertito in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, è seguito da numerose repliche, alcune delle quali molto forti. Il 15 settembre una nuova scossa di magnitudo 5.9 provoca ulteriori distruzioni. Perdono la vita complessivamente 965 persone.

Il danno al patrimonio edilizio è enorme e notevole l’impatto sull’economia: circa 15 mila lavoratori perdono il posto di lavoro per la distruzione o il danneggiamento delle fabbriche. Nonostante fosse conosciuta l’elevata sismicità della regione e, in particolare, della zona compresa tra la pianura e i rilievi montuosi, la maggior parte dei comuni colpiti in modo rilevante – come Buia, Gemona e Osoppo – non erano classificati come sismici e non erano quindi soggetti all’applicazione di norme specifiche per le costruzioni.

La forte presenza militare in Friuli consente operazioni di soccorso rapide ed efficaci, facilitando lo sgombero delle macerie, la riattivazione dei servizi, l’allestimento di ricoveri provvisori e cucine da campo. Nelle ore che seguono la scossa, il Governo affida la direzione delle operazioni di soccorso al Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che sei anni dopo viene nominato Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile.

Nella gestione dell’emergenza sono coinvolti da subito il governo regionale e i sindaci dei Comuni colpiti, che lavorano in stretto contatto con il Commissario straordinario. La Regione e le Autonomie locali sono investite di un ruolo importante e complesso che, fino ad allora, era stato gestito prevalentemente a livello centrale. Per la prima volta sono istituiti i “centri operativi”, con l’obiettivo di creare in ciascun Comune della zona colpita un organismo direttivo composto dai rappresentanti di amministrazioni pubbliche e private, sotto la guida del sindaco, per coordinare il soccorso e l’assistenza alla popolazione.

Conoscendo le caratteristiche del territorio e le sue risorse, i sindaci e i cittadini hanno un ruolo centrale anche nella fase di ricostruzione del tessuto urbano e sociale secondo quello che oggi è conosciuto come il “modello Friuli”, secondo il quale la ricostruzione delle case e delle industrie deve avvenire negli stessi luoghi, “dov’erano, com’erano”. In poco più di 15 anni il Friuli rinasce.


Letteratura :

- protezione civile italiana

- vigili del fuoco italia


Geologia 17 Frana Vajont


Frana del Vajont del 9 ottobre 1963

Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso, in provincia di Pordenone, per confluire poi nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno.

La morfologia della valle del torrente Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, era stata profondamente modificata dalla costruzione di un’imponente diga alta oltre 260 metri, inaugurata nel 1959 come la più grande opera ingegneristica realizzata in Italia per la produzione di energia elettrica. Lo sbarramento creava un lago destinato a raccogliere acqua da tutti i bacini artificiali del Cadore, per poi convogliarla alla centrale elettrica di Soverzene. La diga fu però realizzata senza tenere conto delle caratteristiche morfologiche dei versanti, del tutto inadatti a contenere un serbatoio idroelettrico.



La notte del 9 ottobre 1963 una frana di enormi dimensioni – 270 milioni di metri cubi – si stacca dal versante settentrionale del monte Toc precipitando nelle acque del bacino idroelettrico. L’impatto con l’acqua genera un’onda di circa 50 milioni di metri cubi che travolge prima Erto e Casso per poi scavalcare la grande diga e distruggere gli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone. 1.917 persone perdono la vita, 400 non saranno mai ritrovate.


Letteratura :
- Vigili del fuoco 2025
- protezione civile 2025

Geologia 18 Veneto Trentino Friuli

VENETO - Venezia sorge sopra la laguna è la capitale del Veneto. dalle Alpi scendono i fiumi Adige e Piave. La pianura veneta è attraversata dal fiume Po che raggiunto il Polesine presso il mare adriatico forma un delta che fa parte della laguna veneta.


GEOLOGIA - Durante il mesozoico nel bacino trentino veneto si depositano sedimenti sabbiosi lungo la costa e fini in acque profonde e lontane dalla linea di costa. In seguito alcune rocce sedimentarie piu profonde e spinte da forze tettoniche dovute all'orogenesi alpina diventano metamorfiche come : filladi, scisti, gneiss. Le rocce metamorfiche si trovano sepolte, sotto la copertura sedimentaria, spesso formano il basamento delle catene montuose come le alpi.

DOLOMITI - I monti guglie cime  dolomia lavaredo scogliera mare clima tropicale




ALPI - Le Alpi sono una catena montuosa che separa l'Italia dal resto deuropa. Nel tratto veneto ci sono le Alpi venete. In alcuni punti si vedono  le rocce metamorfiche, sono le rocce piu profonde, schiacciate e ricristallizzate. 

PORFIDO - Porfido è una roccia vulcanica con una struttura con grana non uniforme, con fenocristalli immersi in una pasta di fondo. Sempre in Veneto di cavano rocce vulcaniche come il porfido che sono di colore rosso bruno. Una roccia ignea è di tipo vulcanico. Il materiale vulcanico vien erutato come colata, colonna di fumo e cenere, materiale caldo lanciato in aria che dopo cade a terra, a mare e si deposita fino a completo raffreddamento.  Il risultato è un Porfido una roccia ignea, comunemente usata per pavimentazioni di strade, marciapiedi, giardino. 


FILLADI - Le filladi sono rocce metamorfiche a grana fine, caratterizzate da una sfaldatura, una rottura facile puano parallela che ricorda appunto le foglie, da cui il nome (dal greco "phyllon", foglia). Si formano per metamorfismo regionale di rocce sedimentarie come argilliti e mudstone. Le filladi presentano una buona sfaldatura, con minerali come miche (muscovite e clorite) e quarzo, che le conferiscono una lucentezza caratteristica.


FILLADI - Le filladi si originano dal metamorfismo regionale di rocce sedimentarie, in particolare argilliti e mudstone, sottoposte a pressione e temperatura moderate. Hanno una grana fine, maggiore di quella delle ardesie ma inferiore a quella degli scisti. Presentano una foliazione ben definita, dovuta all'orientamento dei minerali lamellari come le miche, che le rende sfaldabili in lamine sottili. Sono composte principalmente da miche (muscovite, clorite), quarzo, e talvolta feldspati e minerali opachi come pirite o magnetite. La colorazione varia, ma spesso è grigio-verde o grigio-argenteo, con una caratteristica lucentezza dovuta alle miche. La caratteristica principale è la capacità di sfaldarsi lungo piani paralleli, formando lamine sottili. Esempi e localizzazione. Le filladi sono diffuse in molte aree del mondo, comprese le Alpi, dove costituiscono il basamento cristallino delle Prealpi venete. In Italia, sono presenti in diverse zone del basamento cristallino delle Alpi meridionali, come nelle Piccole Dolomiti nel Vicentino, nelle Dolomiti bellunesi e in Trentino. Si trovano anche in altre regioni, come la Sardegna, dove si possono osservare filladi con livelli pelitici crenulati e livelli ricchi in quarzo. Differenze da altre rocce.

STRATIGRAFIA - Il trentino nota zona montuosa è stata studiata dai geologi. Del Trentino conosciamo bene rocce e fossili.  In Trentino ci sono rocce antiche, affioramenti del Trias inf dove sono stati definiti diversi piani geologici come : Anisico Carnico Norico Ladinico Retico. Famoso sito geologico sono :  dolomia a Megalodon, calcari halobia Daonella.

TRIAS - Il fossile Halobia è un lamellibranco (una conchiglia) del Triassico, rinvenuto in diverse località, inclusa la regione del Trentino, in Italia. Questi fossili sono particolarmente abbondanti nell'area di Rovereto e dintorni, in particolare sull'altopiano di Brentonico e nella catena del Monte Baldo settentrionale, che sono zone di notevole interesse paleontologico. L'Halobia è un genere di lamellibranchi che visse durante il Triassico superiore, circa 230 milioni di anni fa. I suoi resti fossili si trovano spesso in rocce sedimentarie marine, il che indica che questi organismi vivevano in ambienti marini poco profondi, simili a lagune o baie. 

TRIAS - La presenza di Halobia nel Trentino, insieme ad altri fossili marini, suggerisce che questa regione era un tempo un fondale marino, che poi, nel corso di milioni di anni, si è sollevato e trasformato in montagne. Questo è un esempio di come lo studio dei fossili possa fornire preziose informazioni sulla storia geologica della Terra e sull'evoluzione della vita. 

TRIAS - Per chi fosse interessato a vedere fossili di Halobia e altri reperti fossili, il Museo Mineralogico Monzoni a Vigo di Fassa offre una collezione privata di minerali e fossili delle Dolomiti, inclusi quelli del Triassico, come l'Halobia. Inoltre, la zona del Monte Baldo è un luogo ideale per escursioni paleontologiche, con la possibilità di trovare fossili direttamente in situ, sempre nel rispetto delle normative locali e delle aree protette. 

DINOSAURI - Trentino è una regione ricca di fossili, testimonianze di un passato in cui la zona era molto diversa da come la conosciamo oggi. In particolare, il sito dei Lavini di Marco, vicino a Rovereto, è famoso per le centinaia di impronte di dinosauri risalenti a circa 200 milioni di anni fa. Oltre alle impronte, si possono trovare fossili di organismi marini in varie zone, come la Val Formiga e il Monte Baldo. 

TETTONICA - La regione veneta è formata da una zona montuosa a nord, che passa a collina e pianura verso sud est, poi da una zona costiera. Anche le Alpi venete sono enerse a seguito di una collisione continentale tra africa europa per subduzione di crosta oceanica e continentale, che ga causato un eruzione che ha formato il porfido. In fondo  al mare  durante il mesozoico si formano le dolomiti fatte di dolomia della fm dolomia principale. Si sollevano le Alpi Carniche. La regione è attraversata da grosse faglie che segna le valli del Tonale --- Trentino e Friuli sono zone sismiche attive. I terremoti piu forti quello del Friuli drl 1976.

 FRANA - Una enorme frana si stacca dal versante del monte Toc e si riversa nel lago artificiale sottostante . Il lago artificiale è stato creato dalla diga in cemento armato per avere una riserva d'acqua e produrre energia elettrica. La tragedia del Vajont, fu dovuto ad un errore di valutazione da parte dei progettisti, causa la distruzione di interi paesi come Erto e ??? e la morte di centinaia di persone.


FRANA - Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso, in provincia di Pordenone, per confluire poi nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno.

La morfologia della valle del torrente Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, era stata profondamente modificata dalla costruzione di un’imponente diga alta oltre 260 metri, inaugurata nel 1959 come la più grande opera ingegneristica realizzata in Italia per la produzione di energia elettrica. Lo sbarramento creava un lago destinato a raccogliere acqua da tutti i bacini artificiali del Cadore, per poi convogliarla alla centrale elettrica di Soverzene. La diga fu però realizzata senza tenere conto delle caratteristiche morfologiche dei versanti, del tutto inadatti a contenere un serbatoio idroelettrico.


La notte del 9 ottobre 1963 una frana di enormi dimensioni – 270 milioni di metri cubi – si stacca dal versante settentrionale del monte Toc precipitando nelle acque del bacino idroelettrico. L’impatto con l’acqua genera un’onda di circa 50 milioni di metri cubi che travolge prima Erto e Casso per poi scavalcare la grande diga e distruggere gli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone. 1.917 persone perdono la vita, 400 non saranno mai ritrovate.




domenica 20 luglio 2025

Geologia 35 - Lo zolfo siciliano


ZOLFO - Lo zolfo dal colore giallo si nota nel famoso dipinto della solfatara o solfara di Renato Guttuso del 1953.  Lo zolfo si trova in piccole quantità negli esseri viventi. Le acque stagnanti e  le uova marce hanno il caratteristico puzzo di acido solforico. Lo zolfo è un elemento chimico e minerale di colore giallo. Veniva usato per produrre acido solforico H2SO4 per batterie a piombo, sapone allo zolfo, aggiunto (vulcanizzazione) nei pneumatici di gomma nera per renderla piu dura e resistente all'usura. La forte richiesta di fine ottocento porta i contadini siciliani a diventare minatori. Una vita fatta di fatica e sudore. Chiusa la miniera molti emigrano al nord, in Germania e in Francia. Sembra la trama del film : il cammino della speranza di Pietro Germi del 1950.


MOTTURA - Il museo mineralogico e paleontologico della Zolfara di Caltanissetta, unico nel suo genere nel meridione d’Italia, documenta l’attività mineraria delle antiche zolfare. In provincia di Caltanissetta si trovano ancora oggi diversi impianti di estrazione caduti in disuso, ma ben conservati. Oltre alla collezione di importanti minerali di tipo gessoso solfifero, di rocce e fossili rari, il museo conserva anche alcuni strumenti d’epoca utilizzati nella vita delle miniere, come i castelletti di estrazione, i vagoncini utilizzati per il trasporto dei minerali, i forni “Gill”. Particolarmente interessante la ricostruzione in scala di uno spaccato di miniera, dove è possibile riconoscere le gallerie, il pozzo di estrazione e i forni. Il museo conserva inoltre una ricca serie di carte geologiche della Sicilia.
Il museo ha sede all’interno di una struttura recentemente inaugurata e adiacente alla scuola fondata dallo stesso Mottura, di cui il museo ha fatto parte per lungo tempo. Nel 1862 l’ingegnere Sebastiano Mottura fondò a Caltanissetta una scuola mineraria, che diresse tra il 1868 e il 1875. Mottura raccolse campioni di minerali della formazione gessoso-solfifera del centro Sicilia, che donò in parte al museo-laboratorio didattico della scuola da lui fondata.



ECONOMIA - . L’Isola ha rivestito, infatti, un ruolo di primo piano, non soltanto per l’estensione del suo sottosuolo ricco del minerale, ma anche perché agli inizi del XIX secolo le sue miniere ebbero rilevanza mondiale: in quell’epoca si contavano 193 miniere nella provincia di Caltanissetta e 170 nella provincia di Agrigento, più un altro centinaio sparse tra le province di Palermo ed Enna; nei primi anni del Novecento oltre 800 in tutta l’Isola, con l’Anglo-Sicilian Sulphur Company dei Florio a farla da padrona. 

CARUSI - “I Carusi” è un dipinto del 1905, presentato all’ Expo Internazionale di Milano nel 1906, oggi conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Palermo. L’opera fu preceduta da una serie di bozzetti attestanti un attento lavoro di indagine fatto “sul campo” (durante il soggiorno presso il barone La Lumia proprietario di alcune miniere di zolfo) seguendo il principio realista della “verità oggettiva” senza infingimenti ed edulcorazioni a costo di suscitare scandalo.




FIAMMIFERI - Il primo fiammifero nacque agli inizi dell’Ottocento a Parigi, dove venne brevettata un’asticella di legno, con la capocchia formata da una miscela di solfuro di antimonio, clorato di potassio, gomma e amido. Col passare degli anni la produzione di fiammiferi si perfezionò sempre più: dal fosforo bianco si passò al fosforo rosso, fino all’uso del sesquisolfuro di fosforo.



LETTERATURA - Ignazio Buttitta nel 1963 dedicò questi versi “A li matri di li carusi”: quelle centinaia di bambini di età tra i cinque ed i dodici anni, affidati da famiglie indigenti ai picconieri delle miniere di zolfo siciliane, in cambio di una misera somma, chiamata “soccorso morto”. Bambini che non riuscivano a vedere la luce del giorno, che erano costretti a camminare in ginocchio e che erano condannati a rimanere a vita all’interno delle miniere, privati degli affetti e dell’infanzia. Nun li mannati a la surfara / Si pani un nn’aviti scippativi na minna / un pezzu di mascidda pi sazialli / disiddiraticci la morti chiuttostu. “Meglio la morte che la miniera”, affermava Buttitta. Meglio la morte che seppellirsi vivi in luoghi come Floristella, Grottacalda, le miniere Bimbinello, Vodi e Zimbalio-Giangagliano nell’area di Assoro, le Solfare di Capodarso e Valle dell’Imera meridionale, Gabbara a San Cataldo. O ancora la solfara Torre a Enna, la solfara Galati a Barrafranca, la solfara Stincone a San Cataldo, Collorotondo a Cattolica Eraclea e quella di Montegrande a Palma di Montechiaro. 

SOLFATARA - Luoghi che oggi, dismessi da decenni, colpiscono per il silenzio irreale e vuoto che avvolge il visitatore, ma che fino alla prima metà del Novecento, brulicavano di persone che trasportavano pesanti carichi di cesti sulle spalle, spingevano carrelli sui binari, accendevano fuochi. 


Letteratura :
Baldacci Luigi 1890
Campo Mariano 2025
Consolo Vincenzo 2025
Germi Pietro 1950
Mottura Sebastiano 1890
Pirandello Luigi 1930